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Con il Covid le nostre abitudini sono cambiate e anche le dinamiche lavorative hanno subito grandi mutamenti.
In questo periodo la tecnologia ha rappresentato ed offerto un reale supporto consentendo a molte professioni di cambiare sede operativa grazie allo smart working.
Passando a svolgere i compiti professionali dall’ufficio alle tranquille mura di casa però la nuova dimensione domestico-lavorativa ha messo a dura prova le dinamiche famigliari.
Ma se da una parte lo smart working ha ridotto lo stress tipico dell’ambiente del lavoro, permettendo di rispettare le importanti regole del distanziamento e consentendo la continuazione della produttività delle imprese; per molte donne quella che sulla carta sembrava una opportunità unica capace di unire praticità a riduzione dei tempi considerati morti (trasferte, pausa pranzo fuori casa etc…) in realtà non sempre si è rivelata una imperdibile occasione.
Da un sondaggio infatti una donna su tre ha confessato che lavorare da casa e gestire il ménage famigliare, soprattutto se in presenza di figli, è diventato un lavoro estremo più che un vantaggio.
Ritrovandosi così un carico di compiti e di stress addirittura maggiorato rispetto ai tempi pre-covid.
Sicuramente, visto anche il periodo di emergenza sanitaria che ha profondamente segnato il 2020, lo smart working si è dimostrato, per molte imprese, una vera e positiva opportunità.
Se prima del 2020, solo 570 mila italiani lavoravano in smart working, dopo marzo 2020 il numero è salito a 8 milioni.
Per le aziende lo smart working è stato un vero è proprio salvagente operativo evidenziando come alcuni comparti potessero risultare produttivi anche da remoto.
Dopo un anno, tra esperimenti operativi e delocalizzazione di mansioni verso i salotti domestici, lo smart working è risultata una modalità di lavoro più green, produttiva, e soprattutto meno costosa e stressante.
Aspetto che le imprese considerano molto positivo, ma non sempre condiviso dai dipendenti, che spesso non riescono a conciliare con successo le dinamiche della nuova dimensione domestico-lavorativa.
Se in un prossimo futuro le aziende adottassero, dove possibile, lo smart working potrebbero ridurre i costi di gestione e anche consumi; a beneficio di una modalità green friendly.
Inoltre i dati dimostrano come, a fronte di ore lavoro svolte, lo stress individuale si ridurrebbe sensibilmente favorendo così una maggiore produttività.
Rimane da valutare come potrebbero adattarsi le aziende indipendentemente dalla pandemia e come la modalità dello smart working verrebbe assimilata dalle famiglie se scelta, in un prossimo futuro, come modalità lavorativa in via prevalente.
Per molte donne il lavoro agile tra le mura domestiche, dopo un primo entusiastico benvenuto, si è spesso dimostrato più arduo e stressante rispetto ai colleghi maschi.
Dopo quasi un anno dalla attuazione di questa modalità operativa, Il look down ha tristemente evidenziato quel gap sociale legato alla parità di genere tutto made in italy, soprattutto se nel ménage famigliare era presente il fattore figli.
Se, in linea generale, gli uomini hanno apprezzato entusiasticamente lo smart working, non sempre le donne lo hanno vissuto con positività.
Ancora fortemente radicato nel nostro tessuto sociale, il divario di ruoli si è accentuato con la pandemia evidenziando come il carico relativo alla gestione e cura famigliare, anche nel nuovo contesto domestico-lavorativo, sia totalmente sbilanciato, continuando a gravare prevalentemente sulle donne.
Molte infatti, si sono ritrovate a dover gestire sempre più crescente stress dovuto al maggio carico faticando a conciliare la vita professionale con quella famigliare.
Dalle call conference, mentre i bimbi urlano per andare al bagno, alla convivenza forzata in orario lavorativo, dal rispetto degli orari e delle scadenze fino alla sovrapposizione di mansioni famigliari-domestiche a quelle professionali; le donne e lo smart working non sempre hanno avuto convivenza facile.
Da uno studio è emerso anche come in linea generale la mancata definizione degli spazi lavorativi e l’accavallarsi dei tempi destinati al lavoro e alle pause pranzo siano stati causa di una percezione di mancanza di tempo e di malessere gestionale e/o organizzativo.
Si è riscontrata inoltre una maggiore insofferenza verso una obbligata sedentarietà rispetto ai tempi pre-smart working. Dove i tempi erano ben scanditi e definiti dal timbrare il cartellino e da ritmi più frenetici.
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Destreggiandosi tra le scadenze professionali e i doveri sottointesi di mamma e moglie, hanno dimostrato una incredibile resilienza.
Quindi, delusione e stanchezza ormai conclamate, a conti fatti lo smart working per le donne non si è rivelato una reale opportunità.
Eh sì perché nonostante le idilliache ipotesi iniziali: cucinare, pulire casa, giocare con i figli e fare lavatrici non sembrano proprio coesistere positivamente con call, riunioni virtuali, scadenze professionali e la concentrazione necessaria per lavorare.
Ma guardando al futuro lo smart working potrebbe essere, anche per le donne, una vera opportunità dai risvolti positivi, a patto che si riesca ad avere una postazione silenziosa e dedicata, una definizione netta tra orari professionali e personali, equa suddivisione delle mansioni di cura e responsabilità famigliari, abbattendo il gap di genere, e adeguate politiche del lavoro.
L’opportunità positiva sulla carta è una opzione reale e valida da perseguire che ci vedrebbe fare un cambio di rotta epocale sia dal punto di vista sociale che professionale.
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